Louis Pasteur (1822-1895) è stato il padre della microbiologia (branca della biologia che studia i microorganismi, batteri e virus), e come tale è uno degli scienziati che con le sue scoperte (in particolare i vaccini) ha giovato maggiormente al benessere dell’umanità.
Pasteur esordisce come chimico, fondando la nuova scienza della stereochimica. Proprio attraverso questi studi, si convince dell’ incommensurabilità tra materia bruta, inorganica e materia vivente e dasserisce che la vita è un vero “mistero”.
Un’idea questa che resiste tutt’oggi, se è vero come è vero che il padre della biochimica, Erwin Chargaff, vi ha dedicato un intero libro, intitolato “Mistero impenetrabile“, mentre il genetista Francis Collins, dopo aver concluso la mappatura del genoma umano, ha sostenuto che “nessuno scienziato serio oserebbe oggi affermare di avere a portata di mano una spiegazione naturalistica dell’origine della vita”.
Nel 1855 Pasteur comincia a studiare la fermentazione lattica, quella alcolica, quella acetica, le malattie dei vini e della birra. E’ qui che “manifesta la sua genialità” e “mette in evidenza come in ogni genere di fermentazione siani implicati microrganismi di specie diverse; quindi dimostra che, elevando la temperatura del liquido nel quale è in corso una fermentazione, si arresta il processo, presumibilmente per la morte dei microrganismi responsabili” (Guido Cimino, in Storia delle scienze, Roma, 1984). Nasce così la pastorizzazione.
Ma i microrganismi nascono spontaneamente o sono generati da loro simili? Il tema è scientifico, ma anche filosofico.
La generazione spontanea
Vi si erano cimentati, in passato, Francesco Redi e don Lazzaro Spallanzani, il “Galilei della biologia”. Entrambi avevano combattuto, senza darle il colpo mortale, l’ idea greca della generazione spontanea (o abiogenesi), presente già in Talete, Anassimandro, Democrito e Aristotele…
Per i Greci la generazione spontanea era un dogma: per i panteisti, che non credevano come ebrei e cristiani, alla creazione dal nulla, tutta la materia era animata, in modo più o meno percettibile, così da non esservi una vera differenza sostanziale tra materia animata e materia inanimata; per i materialisti come Democrito “gli uomini erano stati originariamente generati dall’acqua e dal fango“, attraverso l’aggregarsi di atomi; per Lucrezio “la terra umida di pioggia, per il solo contributo del calore solare, era in grado di generare una grande quantità di piante e di animali”. Lucrezio “era convinto che gli atomi che formavano l’uomo o qualsiasi altro essere vivente, scomponendosi dopo la morte dell’individuo, potevano, in seguito e in condizioni favorevoli, unirsi ancora e formare un nuovo individuo, e tutto questo in maniera casuale” (Antonio Cadeddu, prefazione a Louis Pasteur, Scritti di microbiologia, Teknos, Roma, 1994).
Quando Pasteur si accinge a dare la definitiva dimostrazione sperimentale della impossibilità che la vita nasca dalla non vita, la abiogenesi è diventata, soprattutto dal Settecento, uno degli argomenti della filosofia materialista, “che vedeva nella generazione spontanea una sorta di atto di libertà della natura nei confronti di un qualunque potere sovrannaturale” (Pietro Dri, Pasteur, dal microscopio alle legion d’onore, Le Scienze, Roma, 2013) e riduceva l’alterità tra materia organica e inorganica ad una differenza di grado e non di qualità.
Il 7 aprile 1864, in una serata presso la Sorbona, Pasteur illustra l’impossibilità delle generazioni spontanee e si lascia andare ad un commento nel quale traspare la sua fede in un Dio creatore: “Quale vittoria, oh signori, per il materialismo se potesse proclamarsi fondato sul fatto certo che la materia autorganizzantesi produce per se stessa la vita; una materia che possiede già in se stessa tutte le forze conosciute! … Ah se noi potessimo aggiungerle quest’altra forza che si chiama vita, e una vita variabile nelle sue manifestazioni a seconda delle condizioni dei nostri esperimenti, che cosa più naturale in questo caso che deificare la materia? A che scopo ricorrere all’idea di una creazione primordiale, davanti al cui mistero occorre ben inchinarsi? A che pro l’idea di un Dio creatore?“.
Ma la generazione spontanea, anche di “esseri microscopici“, conclude Pasteur, è solo “una chimera“.
I vaccini
Negli stessi anni Pasteur si cimenta nello studio della malattia contagiosa che uccide i bachi da seta e poi in quello delle malattie infettive degli animali: nel 1877 affronta il carbonchio, che uccide il bestiame, individua ed isola il microorganismo responsabile e “dimostra in modo definitivo la teoria del contagio, dando così l’avvio a un nuovo corso della patologia moderna“. Poi individua nuovi agenti patogeni (lo streptococco, lo staffilococco, il pneumococco…) ed affronta il colera dei polli. Nel 1881 sperimenta con successo su 25 montoni un vaccino contro il carbonchio, e così, come ricorda il citato Cimino, “dà inizio all’era della vaccinazione preventiva nei confronti delle malattie infettive“.
Pasteur si colloca dunque sulla scia di E. Jenner che nel 1796 “era riuscito ad immunizzare l’uomo dal vaiolo con materiale prelevato da bovini infetti“. Quello di Jenner, però, “questo era stato un risultato occasionale, ottenuto empiricamente; solo alla luce di una ‘teoria del contagio’, invece, poteva venire l’idea, che genialmente ebbe Pasteur, di rendere artificialmente i microrganismi meno patogeni, tali da procurare uno stato immunitario. In particolare, l’idea del vaccino gli era venuta allorchè aveva notato che alcuni polli, infettati con germi del colera ‘attenuati’ (perchè conservati a lungo in coltura), contraevano la malattia in forma leggera e, guariti, non erano più soggetti al contagio“. Proprio partendo dal “principio dell’immunizzazione tramite ‘coltura attenuata’, ovvero tramite vaccino, Pasteur riesce a sconfiggere, nel 1885 una terribile malattia, la rabbia”.
Le scoperte di Pasteur toccano ogni campo, anche la chirurgia: dimostrando il legame tra microbi e malattie umane, si certifica la necessità un’ adeguata asepsi. Pasteur invita i chirurghi ad utilizzare solo strumenti e medicazioni sterilizzati, a lavarsi bene le mani, a disinfettare, riducendo così enormemente la mortalità generata dai chirurghi che con strumenti e mani infetti divenivano seminatori di microbi e di morte.
Il dibattito
Ma gli innegabili successi non significano che non vi siano, anche tra ottimi medici e scienziati, degli oppositori, tra cui nientemeno che il grande Robert Koch. Il dibattito diventa incandescente quando Pasteur passa dagli animali agli uomini: l’opinione pubblica si divide, per alcuni è un “assassino”. Un tale Joseph Smith, morso da un gatto rabido, viene vaccinato e muore. La polemica monta, ma Pasteur dimostra che il decesso del paziente, pur essendo post hoc, non è propter hoc: il paziente è defunto non a causa del vaccino, ma perchè era un alcolizzato, e “la rabbia trova terreno fertile negli etilisti, rendendo inefficace il vaccino”.
Pasteur filosofo
Un’ultimo accenno, al Pasteur filosofo. Il 27 aprile 1882 viene accolto nella Accademia delle Scienze da Ernest Renan, ex sacerdote, negatore della divinità di Cristo e dei miracoli. Nel discorso di saluto Pasteur deve fare l’elogio funebre di Emile Littré, medico e seguace del positivismo di August Comte. Pasteur non esita a dire la sua: Comte e Littrè, figli dell’ “illusione” scientista, ponevano ogni fiducia nella limitata scienza umana, e invitavano a non preoccuparsi “né dell’origine né della fine delle cose, né di Dio né dell’anima, né di teologia, né di metafisica”.
“Quanto a me”, argomenta Pasteur, per il quale “poca scienza allontana da Dio, molta vi riconduce”, “mi chiedo in nome di quale nuova scoperta, filosofica o scientifica, si possano estirpare dall’animo umano queste grandi preoccupazioni. Mi sembrano di essenza eterna, perché il mistero che avvolge l’Universo e di cui esse sono emanazione è esso stesso eterno per natura”.
In verità, conclude Pasteur, il positivismo “non tiene conto della più importante delle nozioni positive, quella dell’infinito. Al di là di questa volta stellata che cosa c’è? Nuovi cieli stellati. Sia pure! E al di là ancora? Lo spirito umano, spinto da una forza irresistibile, non smetterà mai di chiedersi: che cosa c’è al di là? Vuole esso fermarsi, sia nel tempo, sia nello spazio? Poiché il punto dove esso si ferma è solo una grandezza finita, soltanto più grande di tutte quelle che l’hanno preceduta, non appena egli comincia ad esaminarlo ritorna la domanda implacabile senza che egli possa far tacere il grido della sua curiosità… Colui che proclama l’esistenza dell’infinito, e nessuno può sfuggirvi, accumula in questa affermazione più sovrannaturale di quanto non ce ne sia in tutti i miracoli, perchè la nozione dell’infinito ha la doppia caratteristica di imporsi e di essere insieme incomprensibile… Io vedo ovunque l’inevitabile espressione della nozione dell’infinito nel mondo. Attraverso essa, il soprannaturale è in fondo a tutti i cuori”.
Per questo, conclude, Comte e Littrè avevano torto: “la metafisica non fa che tradurre dentro di noi la nozione dominatrice dell’infinito” e la scienza stessa, in quanto desiderio di capire, non è che “l’effetto dello stimolo del sapere che il mistero dell’universo infonde nella nostra anima”.
Pasteur e Pascal
Quanto alla ragione, proprio come Pascal ne aveva indicati i limiti, alla luce della ragione stessa (vedi Pensieri 147, 156 e 159) -ricordando che “tutte le scienze sono infinite nell’estensione delle loro ricerche“, che la peculiare natura dell’uomo “ci impedisce di sapere con certezza e di ignorare in modo assoluto“, e che è impossibile che “una parte”, l’uomo, conosca “il tutto” (Pensieri, 43)-, anche Pasteur dichiara: “ancora più incompatibile con la ragione umana è il credere alla potenza della ragione sui problemi dell’origine e della fine delle cose… Credetemi, di fronte a questi grandi problemi, eterni soggetti di meditazioni solitarie degli uomini, non vi sono che due stati dello spirito: quello fornito dalla fede, la credenza a una soluzione data da una rivelazione divina, e quello del tormento dell’anima tesa alla ricerca di soluzioni impossibili e che questo tormento esprime con un silenzio assoluto (non con le false certezze dei “sistemi nichilisti” del positivismo, ndr) o, ciò che è lo stesso, con la confessione dell’impotenza di nulla comprendere e di nulla conoscere di questi misteri” (L. Pasteur, Opere, Utet).
Infine, sempre con Pascal, anche Pasteur affianca alla ragione, così definita, il cuore: gli “insegnamenti della sua fede (del credente, ndr) sono in armonia con gli slanci del cuore, mentre la credenza del materialista impone alla natura umana ripugnanze invincibili. Che forse il buon senso, il senso intimo di ciascuno non reclama la responsabilità individuale? Al capezzale dell’essere amato colpito dalla morte non sentite in voi qualche cosa che vi grida che l’anima è immortale? E’ un insultare il cuore dell’uomo dire con il materialismo: la morte è il nulla!”.
Pasteur muore nel 1895. La storia racconta che il primo bambino guarito dalla rabbia grazie a Pasteur, Joseph Meister, diventò custode dell’Istituto Pasteur di Parigi. Ricorda Drì: “Quando i tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale– rammenta un biografo del celebre scienziato- invasero Parigi e, entrati nell’Istituto, volevano profanare la tomba del maestro, Meister si oppose con tutte le sue forze. Poiché non riuscì nell’intento si chiuse in una stanza e pose fine alla propria vita”.
F.A.