Il recente libro del filosofo Brendan Sweetman, “Religione e Scienza, Una introduzione” (Queriniana, 2014), presenta in modo preciso e aggiornato i principali temi che caratterizzano l’attuale riflessione sul rapporto tra scienza e fede,
come l’evoluzione, la persona umana, il progetto nell’universo e il rapporto tra scienza e etica, cercando di offrire una sintesi ragionata e imparziale delle diverse istanze in campo.
Sullo sfondo c’è il cosiddetto “modello del dialogo” tra scienza e religione, capace di evitare sterili contrapposizioni e promuovere una comprensione più completa possibile di noi stessi, comprese le questioni sul senso della vita che maggiormente ci interpellano. Si tratta di un’impostazione necessaria, poiché la grandezza del compito richiede inevitabilmente uno sforzo congiunto di tutte le sensibilità; e non dico per trovare delle soluzioni ma almeno per abbozzare delle risposte.
A titolo di esempio, propongo due pagine del libro di Sweetman.
Nella prima l’Autore descrive il contributo fondamentale di Newton ad evidenziare come la scienza si occupi dei “come” funzionino le cose e non sia in grado di occuparsi dei “perché” (questo è il compito della filosofia e della religione).
La seconda pagina riflette sul rapporto tra evoluzione e leggi della fisica e sul fatto che le spiegazioni scientifiche dell’evoluzione non si pongano domande sui “perché”.
Certo, anche nella ricerca del modello del dialogo le difficoltà non mancano, e pure il lavoro di Sweetman non è esente da criticità.
Tuttavia “tutta la verità è una”, come diceva sant’Agostino, ed ogni sforzo serio per cercare di capire sempre meglio il mondo in cui viviamo non può che essere ben accolto ed apprezzato (Giovanni Straffelini)