Il testo di Tanzella-Nitti (astronomo e teologo), in particolare la quarta parte, incentrata sul rapporto scienza-fede, è veramente interessante e pure sorprendente, vista la difficoltà di tanti teologi a muoversi tra i paletti e scogli dei dogmi, da una parte, e dei principi scientifici dall’altra.
Innanzitutto la chiarezza nell’impostazione.
Tanzella Nitti (TN) rivendica con forza il ruolo della teologia naturale
(“se non sono più possibili riflessioni filosofiche sulla natura atte a manifestarla come opera di Dio, allora anche ogni pretesa di presentare la natura come luogo di rivelazione di Dio, di fatto, cade”), così come il ruolo del riduzionismo metodologico come base fondamentale del metodo scientifico.
E’ vero, bisogna aspettare pagina 720, ma qui la formula magica è declinata con adeguata chiarezza: si parla di “leggi scientifiche”, “oggetto del formalismo logico e matematico che il sapere empirico applica ai fenomeni mediante un necessario riduzionismo metodologico”. Certo, alcuni scienziati duri e puri (come Hawkins) ritengono che le leggi stesse e le grandezze che esse esprimono (visibili e non visibili, come gli elettroni ad esempio) siano la realtà, ma sono persuaso che la visione espressa da TN sia quella più ragionevole e accettabile.
Il metodo di indagine utilizzato da TN è interessante, anche se da parte mia non totalmente condivisibile. E’ esplicitato a pagina 607: “si tratta di esaminare le nuove implicazioni di cui il testo biblico, in base a tali conoscenze [scientifiche], adesso si arricchisce”. Ecco, io preferisco l’impostazione di Sant’Agostino cui fa riferimento anche Sweetman, e cioè la necessità di adeguare la nostra comprensione del testo biblico con le nuove conoscenze scientifiche (quelle consolidate e “irreformabili” come scrive TN). Tuttavia capisco che il metodo adottato sia quello più adatto per un lavoro che si propone di indagare la “credibilità del Cristianesimo” confrontandosi con la scienza ma partendo comunque da una prospettiva teologica consolidata.
Venendo ai contenuti, dopo qualche prudenza (ad esempio sul peccato originale: qui TN rimane un po’ sul vago; dopo qualche concessione alla visione scientifica, afferma: “se è difficile capire cosa sia stato il peccato originale nella storia evolutiva della specie umana, è ancora più difficile comprendere chi sia l’uomo prescindendo da esso”; un po’ poco), e qualche forzatura (in realtà, una sola, sui miracoli; nel tentativo di difendere la possibilità del miracolo, e in particolare degli interventi speciali di Dio – che mantengono peraltro sempre un significato teologico e quindi valido per chi crede – sostiene che un miracolo come il camminare di Gesù sulle acque sarà “forse compreso in futuro come un fenomeno possibile in natura, a motivo di una nuova comprensione della forza di gravità, unificata alle altre forze…”. Si avverte qui una certa influenza di autori come il fisico americano Frank Tipler che cercano a tutti i costi di spiegare ogni miracolo in termini di possibilità scientifica ma con troppi slanci di fantasia che stridono un po’ con la conclamata necessità di riferirsi alle conoscenze irreformabili), sono espressi i concetti fondamentali che caratterizzano il rapporto scienza-fede con notevole chiarezza e franchezza. Cito un paio di esempi.
Il primo riguarda la ragionevolezza del riconoscimento, nel mondo naturale, di segni che rimandano al Creatore.
Nel mio libretto (Giovanni Straffelini, “Manifesto per scettici (ma non troppo) in cerca di Dio”, Lindau, 2014), parlo di “luci”: qui TN parla della “logica dei segni”, con una definizione quasi commovente: “tale logica non forza la libertà del soggetto ma lascia spazio all’esercizio di un’opzione – in questo caso al riconoscimento di un Dio Creatore – che mantiene il carattere di una donazione e di un affidamento personali”.
Anche sul ruolo dell’evoluzione delle specie animali, TN è chiaro e consapevole; condivide (correttamente ai miei occhi) l’idea che la necessaria informazione sia trasmessa da Dio (dal Logos) con un’azione top-down attraverso le pieghe dell’indeterminazione nel profondo della materia. Si chiede: “Chi potrebbe negare, ad esempio, che ciò che ai nostri occhi appare come puro gioco d’azzardo non segua lo scopo nascosto di chi possiede tutte le regole del gioco, cioè di un Creatore?”.
Riprendendo, e mi pare condividendo in linea di massima, il pensiero di T. Tracy, descrive bene l’intervento speciale di Dio con un modello non intervenzionista capace “di rappresentare un’azione di Dio non invasiva, ispirandosi in particolar modo ai modelli operativi della Meccanica quantistica, nelle teorie della complessità e nella descrizione dei comportamenti caotici”.
Tale impostazione, e questo è il terzo punto, a mantenuta anche riguardo alla discussione dei fenomeni cognitivi, dove “l’azione di Dio opererebbe sui nostri stati mentali a un livello più ‘fisico’ rispetto a quello più ‘metafisico’”.
TN vede inoltre questa azione divina come una “rivelazione che si compie nel soggetto”. Per concludere osservo che anche il tema dell’anima – in proiezione escatologica – è trattato in modo convincente.
TN vede l’anima come la “forma” capace di dare identità/continuità all’umano, e parla di “immortalità sostanziale” garantita dal dialogo continuo con Dio. Per cui, “dopo la morte, l’individualità di ogni essere umano continua ad essere presente in Dio”.