Hawking, l’astrofisico senza Nobel, che sbagliò filosofia

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L’astrofisico Stephen W. Hawking si chiese, in una circostanza, se fosse più famoso per la sua sedia a rotelle o per le sue scoperte (che, per quanto notevoli, non gli sono mai valse il Nobel, a dimostrazione di come la fama mediatica non sia sempre del tutto rispettosa della realtà delle cose).

Forse ora, leggendo i giornali che lo hanno celebrato, sorriderà nel vedere che la maggior parte di coloro che lo hanno ricordato hanno capito poco e dell’una e delle altre.

Anche per “colpa” di Hawking, bisogna pur dirlo.

Perchè questo grande fisico inglese ha portato il suo male, come è naturale, in modo diverso nel tempo, e perchè ha più volte cambiato le sue idee filosofiche.

Un giorno raccontò che la vita era diventata noiosa, e che era tornata a sorridergli solo dopo aver saputo della sua malattia, cioè quando si era accorto che poteva perderla. In altre circostanze ha lasciato intendere che avrebbe potuto ricorrere all’eutanasia, ma non solo non lo ha mai fatto, ma anche ringraziato la moglie che, nel 1985, disse il suo no deciso ai medici che ritenevano di dovergliela praticare.

Come sta un uomo con il suo dolore? Quali domande si fa sul senso della vita?

E’ facile immaginarlo: tantissime.

Ancora di più, forse, se ha vicino una moglie cattolica che gli parla di Dio, e se, di mestiere, si occupa di studiare, oltre ai buchi neri, il Big bang.

Eh già, studiare il Big bang significa andare ai primi istanti dell’Universo, per chiedersi se esso sia nato davvero o meno; e, se è nato, da Chi.

Hawking lo aveva chiaro: sebbene nel suo best seller, Dal big bang ai buchi neri non lo citi mai, sapeva bene che la teoria del Big bang deve la sua esistenza ad un sacerdote cattolico, George Eduard Lemaitre che nel lontano 1931 aveva sollevato un vespaio, rilanciando con la sua ipotesi il dibattito su Dio: se l’Universo è nato, perchè? Da chi? Con quale scopo?

Per questo nel libri di Hawking ritorna sempre la domanda: “Perchè l’universo esiste? Perchè noi esistiamo?“.

Bisogna ricordare che nel 1970, insieme a Roger Penrose, uno scienziato non inferiore a lui, sebbene meno noto al grande pubblico, Hawking aveva proposto il “teorema della singolarità”, da lui commentato con queste parole: “Mostrammo che […]qualsiasi modello ragionevole di universo doveva iniziare con una singolarità. Ciò significava che la scienza poteva predire che l’universo doveva avere avuto un inizio, ma che non poteva predire come l’universo doveva cominciare, poichè tale compito era di competenza di Dio” (S.Hawking, in Buchi neri e universi neonati).

In altre parole il teorema rafforzava l’idea di molti: l’universo è nato, quindi non è eterno nè autosuffciente, ma richiede un Creatore, il quale solo, nella sua Onnipotenza, conosce fino in fondo la natura stessa dell’universo. Sì perchè la singolarità rappresenta una situazione per noi inconoscibile, una condizione del cosmo impenetrabile dalla mente umana, perchè in essa non vigono le leggi della natura a noi note.

L’universo ha dunque bisogno di un Creatore e l’uomo è incapace di comprendere tutto?

Le cose sembrerebbero stare proprio così, e per questo Hawking rimane, a lungo, dubbioso: nel suo best seller citato, un Creatore sembra a volte innegabile, a volte inutile.

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Non bisogna dimenticare che Hawking ha occupato la cattedra che era stata di Isaac Newton, convintissimo della necessità, per l’universo, di un Creatore. Hawking non può non fare i conti, oltre che con le sue domande esistenziali, con i suoi grandi ispiratori: il devoto protestante Newton e il devoto cattolico Lemaitre. A tutto ciò si aggiunge, lo possiamo intuire, una domanda personale incalzante: perchè, il mio dolore? Quale senso, nella mia vita?

La conclusione del libro Dal Big bang ai buchi neri è celeberrima: Hawking si chiede se riusciremo a trovare una “teoria completa” che ci aiuti a risolvere il problema “del perchè noi e l’universo esistiamo”. E conclude: “Se riusciremo a trovare la risposta definitiva a questa domanda, decreteremo il trionfo definitivo della ragione umana: giacchè allora conosceremo la mente di Dio“. Si noti il “se”: Hawking non sa, propone solo un’ardita ipotesi.

Approfondita successivamente: rinnegato il suo stesso teorema della singolarità, che apre troppi spazi a Dio, Hawking avanza un’ ipotesi che possa permettergli di sbarazzarsene.

Nel 2010, nel suo Il grande disegno, propone un universo senza inizio. Si tratta di un’ ipotesi poco fondata, ma, a suo dire, promettente, tanto che nella stessa pagina Hawking scrive: “non abbiamo una risposta definitiva, ma oggi disponiamo di una candidata alla teoria ultima del tutto: la teoria M. Se confermata, sarà… il trionfo della ragione umana. Quanto ad un presunto Creatore del grande disegno (parola usata da Newton proprio per indicare l’universo come opera di un grande Pittore, ndr), la scienza dimostra che l’universo può crearsi dal nulla sulla base delle leggi della fisica. Non è necessario appellarsi a Dio per accendere la miccia e mettere in moto il processo“.

Il concetto, come si vede, non è del tutto logico: si parla di ipotesi, da confermare, ma poi si dà per certo che Dio non sia più necessario.

Le due tesi contenute in queste parole (Dio non serve; l’uomo capirà ogni cosa) destano subito delle reazioni: il premio Nobel per la Fisica del 2006, proprio per gli studi sul Big bang, George Smoot, ha appena scritto, nel suo Wrinkles in time, l’esatto contrario; l’amico Roger Penrose nota che la M-teoria “non è nemmeno una teoria, non è scienza ma un insieme di speranze, idee, aspirazioni“. Altri, fisici, astrofisici e filosofi, fanno notare a Hawking che si è dimenticato di spiegare la cosa fondamentale: da dove derivano le “leggi della fisica” che lui stesso pone come condizione necessaria per l’esistenza dell’universo?

L’astrofisico Piero Benvenuti, segretario generale dell’Unione Astronomica mondiale, in una intervista concessa allo scrivente e contenuta in Gli scienziati davanti al mistero del cosmo e dell’uomo. Piccoli dialoghi su grandi temi (http://www.lavocedeltrentino.it/2018/01/25/gli-scienziati-davanti-al-mistero-del-cosmo-e-delluomo-piccoli-dialoghi-su-grandi-temi-il-nuovo-libro-di-francesco-agnoli/), dichiara: “Mah, Hawking è un grande scienziato, non all’altezza dei giganti, come si potrebbe credere dai media, ma un grande. Eppure nel suo ultimo libro, Il grande disegno, lui o chi lo ha scritto per lui, dice delle enormi sciocchezze filosofiche. Non arriveremo mai ad una teoria del tutto… noi conosciamo solo il 4 o 5 per cento di ciò che esiste… esistono l’ “energia oscura” e la “materia oscura” che chiamiamo così perchè in verità non sappiamo cosa siano… Tra vent’anni cosa può saltare fuori? E’ recentissima la scoperta delle onde gravitazionali, che ci porteranno altri elementi. La scienza è un’ avventura continua per fortuna…”.

Il fisico italiano Franco Saporetti, nel suo Big bang: chi ha acceso la miccia?, dopo aver provato l’insostenibilità di una conoscenza umana assoluta (basterebbero il principio di indeterminazione o le teorie del caos a provare l’esistenza di realtà per l’uomo intrinsecamente inconoscibili), ricorda un fatto importante: dopo il libro del 2010, Hawking stesso ha poi rinnegato la sua ipotesi che sia possibile per l’uomo conoscere davvero “la mente di Dio”.

In una conferenza dal titolo Gödel e la fine dell’universo, infatti, Hawking ha affermato: “ho cambiato idea… il teorema di Gödel assicura che ci sarà sempre lavoro per i matematici”, e che non arriveremo mai a scrivere il libro definitivo di matematica, fisica ecc…

E allora perchè i giornali continuano a presentare Hawking come il sostenitore, sempre e comunque, della teoria del Tutto?

Forse perchè a qualcuno, come nell’Ottocento, piace ancora pensare che la mente umana potrà un giorno risolvere ogni mistero?

Ma che questo non accadrà mai non solo è dimostrato dai teoremi di incompletezza di Kurt Gödel; non solo è stato sostenuto con argomenti molto forti, per stare solo al Novecento, da Albert Einstein, Werner Heisenberg e Max Planck, i massimi fisici del secolo, ma è evidente per il fatto che il limite della scienza è l’uomo stesso, come notava il padre della biochimica Erwin Chargaff.

Sono la curiosità e la sete insaziabile di conoscenza di Hawking, come pure la sua malattia e la sua morte, a rivelarci e la nostra grandezza e la nostra piccolezza di uomini.

Concludo con due pensieri autorevoli. Il primo, formulato nel 1930, è di Max Planck, padre della fisica quantistica, premio Nobel per la Fisica, credente:Di fronte a Dio tutti gli uomini, anche i più perfetti ed i più geniali… sono creature primitive.. .e sarebbe temerario ed assurdo tentare di imitare l’occhi divino e di ripensare completamente i pensieri della mente divina. L’intelletto comune dell’uomo non saprebbe comprenderne i profondissimi pensieri neppure se gli venissero comunicati” (M. Planck, La conoscenza del mondo fisico).

Il secondo, del 2017, è di Carlo Rovelli, fisico contemporaneo, ateo: “La natura del tempo resta il mistero forse più profondo. Strani fili lo legano agli altri grandi misteri aperti: la natura della mente, l’origine dell’universo, il destino dei buchi neri, il funzionamento della vita” (C. Rovelli, L’ordine del tempo).

da: http://www.lavocedeltrentino.it/2018/03/17/hawking-lastrofisico-senza-nobel-che-sbaglio-filosofia/