L’Intelligenza umana, ancora più della vita e come il linguaggio umano, è ancora oggi un grande quesito della filosofia e un mistero per la scienza.
Come può emergere un essere pensante, l’uomo, alla fine di un processo evolutivo materiale e non pensante? Come può emergere una coscienza, dall’evolversi di cose che non hanno coscienza?
Martin Rees, astronomo reale britannico e presidente della Royal Society (la più celebre società scientifica al mondo), in Prima dell’inizio (Raffaello Cortina, Milano, 1998), ammessa l’impossibilità per la nostre conoscenze scientifiche di spiegare l’intelligenza, ricorda che essa “sembra essersi prodotta una e una sola volta“.
Nell’Universo c’è dovunque intelligenza: le leggi immateriali, universali, invisibili, che regolano la materia, visibile, diveniente e mutevole. In ogni singola cellula c’è un’intelligenza ben più grande di quella che un orologiaio mette nell’orologio che costruisce, o un ingegnere meccanico mette nella macchina più complicata e perfetta.
Anche in un cristallo, o in un’ape, c’è una intelligenza incredibile, che però non viene né dal cristallo, né dall’ape. Allora da dove?
Anche l’uomo è dotato di una intelligenza, ben diversa, però, da quella presente altrove.
Si tratta infatti di una intelligenza cosciente e libera.
Nelle filosofie materialiste essa è figlia del caso, un “incidente congelato”, incredibile ma vero. Per il filosofo Denis Diderot, nella fase in cui abbandona il deismo per il materialismo, esiste per caso “quest’essere orgoglioso che si chiama uomo, [che] dissolto e disperso tra le molecole della materia, sarebbe rimasto, forse per sempre, nel numero dei possibili”.
La domanda più ovvia che possiamo porci, però, è questa: se l’intelligenza fosse figlia del caso, come potrebbe decifrare le leggi dell’universo?
“Se la nostra intelligenza fosse il risultato del caso – ha scritto il padre della citogenetica Jerome Lejeune-, in che modo il caso ha potuto prevedere questi straordinari usi del cervello in modo che l’evoluzione potesse costruire l’organo che li avrebbe resi possibili?”
In altre parole, come può il caso aver dotato l’uomo della coscienza di esistere e nello stesso tempo della capacità di entrare nella sostanza delle cose e della realtà circostante, non esistendo, tra caso e caso, tra la casualità dell’universo e quella dell’intelligenza, nessuna relazione causale? Possibile che casualità più casualità generi ordine, ricerca di ordine, strumenti per interpretare l’ordine?
L’impossibilità della scienza umana di ridurre a mera materia l’intelligenza dell’uomo, l’impossibilità logica di considerare irrazionale l’esistenza della razionalità stessa, sono, per molti filosofi e scienziati, di un solare evidenza. Si tratta, per Albert Einstein, di un vero miracolo, che gli fa esclamare: “Si potrebbe dire che l’eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità”.
Ciò significa che il fatto che il mondo si presenti a noi ordinato, regolato da leggi, intellegibile e non incomprensibile, razionale e non assurdo, “è davvero un miracolo”, qualcosa di cui non dobbiamo smettere di stupirci. L’universo “si lascia conoscere” dall’uomo, che ha in sé i sensi e l’intelligenza per conoscerlo, e il desiderio, la spinta per farlo. Si può dire che all’origine della scienza, vi è un vero e proprio atto di fede, che deriva appunto da una consonanza immediata, innata, tra l’uomo, la sua intelligenza, e l’universo che lo circonda.
Come ha osservato Thomas Torrance, “i grandi scienziati si rendono conto che vi è una fede elementare, intuitiva e incrollabile nella natura significativa delle cose dell’universo, fede nell’intellegibilità dell’universo, fede nel suo carattere pervasivo e unitario, fede nella sua regolarità e stabilità e costanza e semplicità… ed anche fede nella possibilità di cogliere il mondo reale con i nostri concetti, insieme con la fede che l’intellegibilità del mondo reale vale anche quando trascende le nostre concezioni e formulazioni…”, fede cioè nell’esistenza di una verità comprensibile, caratterizzata dalla non contraddittorietà.
Quando nasciamo non ci troviamo dinanzi ad un mondo ostile, al regno del caos, quasi non fosse fatto per noi, ma ad una realtà armoniosa, logica e immensa, che però riusciamo a comprendere, capire, almeno in parte: quella realtà che è più grande di noi, la possiamo rinchiudere nei nostri concetti, la possiamo dominare col pensiero, la possiamo scomporre e addirittura modificare, proprio perché non è caotica, casuale, ma ci corrisponde.
Materialmente ci comprende, col pensiero noi la possediamo, la analizziamo, ne indaghiamo l’essenza, e ce ne serviamo.