Solitamente si crede che l’opposizione a Charles Darwin sia venuta esclusivamente dagli ambienti religiosi: a riguardo, si cita il celebre caso del vescovo Samuel Wilberforce (nella foto), e della sua leggendaria disputa, nel 1860, con Thomas Huxley, sulla natura umana.
Certamente Wilberforce è uno degli oppositori di provenienza religiosa. È figlio di William, l’uomo che ha lottato un’intera vita per abolire in Inghilterra la tratta degli schiavi (vedi il film Amazing grace, 2006): conosce bene le teorie secondo cui i neri sarebbero solo scimmie meno evolute, e non può non essere allarmato da vari riferimenti di tipo eugenetico e latamente razzista presenti nel pensiero stesso di Darwin.
Lo preoccupano, certamente, le idee di Francis Galton, cugino di Charles, che verranno sposate anche dai figli di Darwin, George e Leonard, entrambi futuri eugenisti convinti. Del resto, proprio Thomas Huxley − l’amico e il “mastino” di Darwin, il suo avvocato contro «i cani bastardi che abbaieranno e uggioleranno» − professa apertamente il razzismo:
«Nessun uomo razionale, che abbia cognizione dei fatti, crede che l’uomo negro medio sia uguale o meno che mai superiore all’uomo bianco. Se questo è vero, non è assolutamente credibile che, quando siano stati eliminati tutti i suoi svantaggi e ottenute le condizioni di parità senza più oppressori, il nostro prognato parente possa competere con il suo rivale dal cervello più grande e dalle mascelle meno pronunciate in una gara condotta sulla base dei pensieri anziché dei morsi. I gradi più alti di civiltà non saranno mai in alcun caso alla portata dei nostri cugini di pelle scura» (in R. Dawkins, L’illusione di Dio, Mondadori, Milano 2007, 263)
Ma in verità, più che da ambienti religiosi, l’opposizione originaria a Darwin proviene, già in origine, da colleghi scienziati. La polemica più significativa sull’origine dell’uomo avviene pubblicamente, nel 1869, ad Exeter. Il protagonista è nientemeno che sir Alfred Wallace, co-scopritore con Darwin della selezione naturale, il quale, durante un convegno scientifico, afferma pubblicamente, contro l’amico Darwin, di credere nell’origine naturale del corpo umano, ma sovrannaturale della sua anima. A quello di Wallace, si possono aggiungere molti nomi illustri. Per esempio quello di sir Charles Lyell, il cui Principi di geologia è essenziale agli studi dell’amico Darwin (che nella sua Autobiografia ne loda l’intelligenza e gli studi e lo definisce «teista deciso»).
Lyell nega convintamente che l’evoluzione sia sufficiente a spiegare alcune peculiarità tipicamente umane, come le facoltà morali e il linguaggio. Anche il botanico statunitense Asa Gray (1810-1888), amico di Darwin e maggior rappresentante del darwinismo americano, è convinto dell’originalità dell’uomo.
Un altro protagonista del dibattito è George Mivart (1827-1900), biologo, anatomista, membro della Royal Society e vice presidente della Zoological Society. Inizialmente entusiasta del darwinismo, ben presto se ne distacca, sostenendo l’inutilità dello stato incipiente degli organi e proponendo un’evoluzione che procede secondo un piano preordinato, talora per salti, senza che la selezione naturale sia in grado di spiegare interamente il perché. Per Mivart l’uomo ha una natura doppia, e la sua «razionalità usa e include la sua natura animale».
Il corpo è «formato prima mediante una creazione derivativa o secondaria, secondo leggi naturali», mentre l’anima «origina da una diretta e immediata creazione».
A criticare più o meno fortemente alcune idee darwiniane non tanto sull’evento-evoluzione quanto sui suoi meccanismi, sono, nella sola Inghilterra: sir Richard Owen (1804-1892), professore di Anatomia e Fisiologia Comparata e membro della Royal Society, per il quale le differenze tra uomo e animale sono di qualità e non di grado; i fisici di Cambridge sir William Thompson (1824-1907), futuro lord Kelvin, e George Stokes (1819-1903); Benjamin Brode (1783-1862), anatomista e fisiologo, presidente della Royal Society, e Alfred William Bennett (1833-1902), botanico, entrambi contrari alla possibilità dell’esistenza di tappe intermedie dell’evoluzione (giudicate inutili e dannose); il geologo John Phillips (1800-1874), l’anatomista sir George Humphry (1820-1896), primo presidente dell’Anatomical Society of Great Britain, il fisiologo William Carpenter (1813-1885), Charles Daubeny (1795-1867), chimico e botanico di Oxford, Lord Wrottesley (1798-1867), astronomo e presidente della Royal Astronomical Society e della Royal Society, l’antropologo, paleontologo e anatomista Carter Blake (1840-1887).
Molte delle critiche addotte sono tutt’oggi ritenute valide da vari scienziati. Basti la più notevole: molti di loro negano che il linguaggio umano possa essere sorto per gradi, per pressioni evolutive, dall’imitazione di suoni naturali, come vorrebbe Darwin. Una posizione a tutt’oggi sostenuta da linguisti, biologi evoluzionisti, genetisti di grande valore e fama. Il linguaggio, la parola: cioè la massima espressione della razionalità di creature, che grazie ad esso si elevano al di sopra della natura, e che, nella tradzione filosofica e teologica ebraico-cristiana, sono fatte di polvere, ma anche a immagine e somiglianza di un Dio che una lunga tradzione definisce “Logos”, o “Verbum”, cioè Parola.
da: Francesco Agnoli, Creazione ed evoluzione: dalla geologia alla cosmologia. Stenoné, Wallace e Lemaître, Siena, 2015
Vedi anche: http://www.filosofiaescienza.it/lagnosticismo-di-charles-darwin/