Vorrei concludere con alcune considerazioni di un matematico nato a Roma, il 6 marzo 1945, deceduto il 25 settembre 2015, e che ho avuto la sorte di conoscere, scrivendo per anni sullo stesso quotidiano.
Parlo di Giorgio Israel, già professore di Geometria algebrica, di Matematiche complementari e di Storia della Matematica presso l’Università la Sapienza di Roma.
Anche nella sua veste di storico e di membro della Académie Internationale d’Histoire des Sciences, Israel ha spesso ricordato il “misticismo” presente alle origini della fisica moderna.
Ha però anche voluto spesso sottolineare come, accanto alla “irragionevole efficacia” della matematica (secondo l’espressione del premio Nobel Eugene Wigner), esiste anche una “ragionevole inefficacia” della stessa.
In cosa consiste questa “ragionevole inefficacia”? Per Israel nel fatto che la matematica, così efficace, appunto, quanto alla descrizione della natura, non può essere utilizzata nello stesso modo in contesti come la psicologia, i processi mentali, “la sfera dei rapporti interumani“.
Contesti nei quali hanno invece grande valore conoscitivo la teologia, la filosofia, la letteratura, l’arte…
In altre parole, denunciando una certa tendenza a ritenere misurabili, pesabili, classificabili anche gli esseri umani (tendenza che va dalle pseudoscienze dei cosiddetti “razzisti scientifici” tra Ottocento e Novecento, sino alla sopravvalutazione di test per misurare l’intelligenza, o altro, propria dell’oggi), Israel ricordava spesso che non riconoscere i limiti della scienza e della matematica è un atto irrazionale, perchè “la matematica non è un passe-partout per spiegare o prevedere qualsiasi cosa“: la sua efficacia è tale solo quando “abbiamo a che fare con processi che hanno una natura essenzialmente meccanica o comunque derivante da processi puramente materiali...”.
Al contrario, “non appena intervengono fattori soggettivi in cui il più elementare buon senso indica la presenza di scelte libere e autonome, la matematica inizia ad incespicare“.
Per spiegare meglio questo concetto, nel suo La matematica e la realtà, Israel citava due personaggi, un grande matematico del passato, Louis Augustin Cauchy (nella foto) e un fisico contemporaneo come il già citato Federico Faggin, ideatore del primo microchip.
Scriveva Cauchy, in una parte del brano riportata da Israel: “Coltiviamo con ardore le scienze matematiche, ma senza volerle ostentare al di là del loro dominio; e non illudiamoci che si possa affrontare la storia con delle formule, nè sanzionare la morale con dei teoremi o del calcolo integrale“.
Quanto a Faggin, Israel, convinto come lui che “l’evidenza della mente non è minore di quella della materia“, faceva riferimento ad un’intervista in cui il padre del microchip – in perfetta continuità con pionieri dell’intelligenza artificiale come i citati Pascal, Leibniz e Gödel– notava “quanta profondità ci sia in un uomo“, aggiungendo: “una società “scientista” ci ha fatto il lavaggio del cervello spingendoci a pensare che tutto è macchina. L’universo è una macchina, noi siamo macchine… Assurdo. L’uomo si sta sottovalutando. E lo diciamo non sulla base di un dogma ma di quanto abbiamo potuto accertare...”.
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