Siamo nel 1798 e un docente dell’Università di Modena si rifiuta di giurare fedeltà alla Repubblica giacobina instaurata dai rivoluzionari francesi al seguito di Napoleone. Nel giuramento, infatti, sono contenuti riferimenti anti-religiosi che, in coscienza, non ritiene di poter accettare.
Il suo nome, ancor oggi celebre, è Paolo Ruffini. Nello stesso anno, nella vicina Bologna, muore un grande medico, il padre degli studi sull’elettricità animale, Luigi Galvani: due anni prima, nel 1796, anche lui perde la cattedra per lo stesso motivo e affronta gli ultimi anni di vita in disgrazia e povertà.
Spostiamoci di qualche anno, dall’Italia
alla Francia, madre della rivoluzione esportata in Italia dalle baionette napoleoniche: Antonie Lavoisier, padre della chimica moderna, cade sotto la ghigliottina repubblicana, mentre il sacerdote René Just Haüy, esimio scienziato, amico del Lavoisier, padre della cristallografia e della mineralogia moderne, dopo un periodo di galera, sfugge miracolosamente agli implacabili seguaci della Fraternitè, Egalitè, Libertè, e della Dea Ragione 1.
Siamo negli anni in cui il materialismo illuminista è preponderante, e sono proprio gli uomini di scienza, di solito, i più avversi ad un modo di pensare che si ritiene razionale e moderno.
Paolo Ruffini è uno di questi.
Ma chi è il matematico Ruffini, che molti conoscono solo per il teorema che porta il suo nome, o per il metodo Ruffini-Horner (benché la memoria del Ruffini sia del 1804 e quella di Horner del 1815 e del 1845)?
Paolo Ruffini nasce a Valentano (Viterbo) il 22 settembre 1765, da padre di origini reggiane. Presto la famiglia torna nella terra d’origine e Paolo si iscrive all’Università del Ducato, a Modena. Non si è ancora consumata, nella cultura italiana, la scissione netta tra materie scientifiche ed umanistiche. E’ l’epoca in cui anche i sacerdoti, insieme alla filosofia e alla teologia, studiano le scienze naturali. Lo faranno sino alla riforma dei seminari post conciliare.
Ruffini affronta un biennio obbligatorio di filosofia, per poi passare agli studi fisici e matematici, e, con il tempo, all’attività di professore di tutte le discipline matematiche del tempo, e di medico. Persa la cattedra, come si è visto, nel 1798, viene presto reintegrato nell’insegnamento, sino a divenire, nel 1814, con la restaurazione, rettore dell’Università stessa e poi presidente, nel 1816 della Società Italiana delle Scienza, detta “dei XL” perché riuniva i 40 studiosi più famosi del paese (ancora, politicamente, diviso).
Nel 1821 Ruffini riceve una lettera da Augustin Louis Cauchy, mostro sacro della matematica dell’Ottocento. Cauchy asserisce di riconoscere la validità del teorema sull’indissolubilità delle equazioni algebriche di grado maggiore di 4 (oggi noto come teorema di Ruffini-Abel, ma “per tanto tempo noto semplicemente come teorema di Abel, perché il matematico norvegese lo ha dimostrato nel 1825, sulla base dei teoremi che Cauchy aveva ottenuto riordinando i risultati del matematico modenese”2).
Oltre alla matematica, Ruffini pratica anche l’arte della medicina: “dal 1791 fino agli ultimi suoi giorni egli si spese molto nelle cure dei pazienti, con visite frequenti e sollecite e con generoso impegno, dal più umile dei concittadini ai membri della casa ducale”.
Il suo spendersi per tutti, ricchi e poveri, lo rende molto amato dal popolo. E’ iscritto alle Compagnie del Santissimo Sacramento e di san Luigi, e dimostra la sua attenzione alle vicende contemporanee anche prodigandosi, insieme ad alcuni amici, per raccogliere denaro per sostenere quei religiosi che, durante la prigionia del pontefice Pio VII, hanno dovuto lasciare Roma pur di non tradire la loro fede.
Nel 1817-18 Modena “fu colpita da un’epidemia di tifo e, prestando cure ai tanti ammalati, ne rimase seriamente colpito lo stesso Ruffini, tanto da essere in pericolo di vita. Una volta guarito, per dirimere una discussione sulla tipologia della malattia, stese una memoria (1820), l’unica di materia medica da lui pubblicata, in cui ne sostenne l’indole contagiosa e ne descrisse i sintomi e le cure più opportune”.
Infine, Ruffini è anche filosofo ed impugna la penna almeno in tre occasioni: per redigere un trattato intitolato “Dell’immaterialità dell’anima” (1806), dedicato al papa Pio VII; uno intitolato “Intorno alla definizione della vita assegnata da Brown” (1818, ma uscito postumo), ed un terzo opuscolo denominato “Riflessioni critiche sopra il saggio filosofico intorno alla probabilità del signor Conte Laplace” (1821).
Il trattato sull’immaterialità dell’anima cominciacosì: “Una delle più interessanti proposizioni di Metafisica si è che un Essere dotato della facoltà di conoscere è necessariamente immateriale”. Da qui si dipanano varie argomentazioni in cui logica e matematica si mescolano per sostenere, appunto, la natura anfibia dell’uomo: “Osservando me stesso, veggo di possedere un Corpo, il quale è composto di parti tutte materiali: ma (pel n. 44) niun Essere materiale può andar fornito della proprietà di conoscere; dunque di tal proprietà dovendo e tutto il mio Corpo, ed una qualunque delle sue parti essere necessariamente priva, (pel n.17) ne segue che dovrà esistere in Me qualche altra sostanza da loro essenzialmente diversa. Io adunque non sono un puro Corpo, ma un Essere io sono fornito di due sostanze diverse pienamente tra loro, materiale l’una, e l’altra immateriale”.
Non è il Corpo, “ma l’Essere intelligente quegli è che in me giudica, ragiona, ricordasi e vuole”. Come poi un “essere immateriale, quale è l’intelligente, può mai servirsi di mezzi e di strumenti materiali? Come questi possono influire su quello? Ecco due Problemi, i quali dalla comune dei Metafisici si considerano non per anco risolti”.
Il trattato si conclude con una Confutazione dei Principi del Sistema Metafisico di Erasmo Darwin, il nonno di Charles Darwin e di Francis Galton, padre dell’ eugenetica, molto influenzato dalla filosofia di David Hume. L’accusa rivolta ad Erasmus è che il suo sistema è materialista perché “tutte deduce le funzioni intellettuali dalle fibrille, che Egli dice componenti gli organi dei sensi, e dal suo Spirito di Animazione”3.
Per Ruffini è chiaro che materia dice determinismo, anima dice libertà, volontà, intelligenza, amore.
Il secondo trattato si rivolge al conte Laplace, secondo il quale tutto, anche le scelte e le esperienze umane passate, presenti e future, sono determinate e fissate in maniera irreversibile (negazione del libero arbitrio, dell’anima e di Dio).
Rispetto a ciò Ruffini sostiene che “è falsa l’opinione, che tutti i fenomeni, anche fisici siano collegati con una concatenazione necessaria. Di fatto tra i tanti fenomeni che succedono, moltissimi agiscono sull’Uomo, eccitando la sua volontà a determinarsi; e qualunque sia la determinazione, che quindi l’Uomo prende, da essa, e dall’atto, o dalla operazione, che ne succede, sorge un’altra serie di fenomeni. Ora questi secondi a cagione di essere la determinazione dell’Uomo affatto libera non hanno punto legame necessario con i primi, quantunque fossero fisici questi, e lo siano quelli. Dunque non sussistendo rapporto ad essi la voluta necessaria concatenazione, non è punto vero, che questa abbia luogo fra tutti i fenomeni dell’Universo. Anzi giova il riflettere, che, siccome sopra la superficie della Terra moltissimi sono i fenomeni, tra i quali resta interessata la libera determinazione dell’Uomo, perciò moltissimi sono i casi, nei quali l’indicata necessaria concatenazione manca, e in conseguenza di ciò, vedesi finalmente che non solo tutti gli avvenimenti morali ma moltissimi ancora tra i fisici sfuggono essenzialmente dalla pretesa formula del signor Conte Laplace”.
Nell’opuscolo trova spazio anche una difesa dei miracoli, a partire da quello della liquefazione del sangue di san Gennaro: liquefazione che Laplace non nega, ma attribuisce all’aggiunta di un agente chimico, ogni qual volta si voglia determinare la liquefazione medesima. Se fosse una frode, argomenta Ruffini, l’intera città, così attenta al miracolo da secoli, se ne sarebbe accorta, tanto più che nè nell’epoca odierna, né, a maggior ragione, nei tempi più antichi, è noto alcun agente chimico capace di ottenere simili risultati4.
Infine, nel terzo opuscolo citato, Ruffini, in perfetto accordo con la consapevolezza odierna, nega sia possibile dare una definizione precisa di vita, e soprattutto sostiene che non si possano considerare “una sola cosa la vita de’ vegetali, l’altra de’bruti e quella dell’uomo”5.
A Paolo Ruffini è stato dedicato l’asteroide 8524 Paoloruffini.
(Francesco Agnoli, Il Timone)
- Francesco Agnoli, Scienziati dunque credenti, Cantagalli, Siena, 2014.
- Voce Paolo Ruffini, di Francesco Barbieri e Franca Cattelani Degani, in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Scienze- Treccani (2013).
- Paolo Ruffini, Sull’immaterialità dell’anima, Modena, Soliani, 1806.
- Paolo Ruffini, Riflessioni critiche sopra il saggio filosofico intorno alla probabilità del signor Conte Laplace, Modena, soc. Tipografica, 1821
- P. Ruffini, Intorno alla definizione della vita assegnata da Brown, Mem. R. Accademia di Scienze Letterarie e Arti di Modena, Soliani, 1833 (postumo), tomo I, p. 312-333.
Quattro facciate su Ruffini da un libro di Mario Livio, L’equazione impossibile, Rizzoli, 2005.