In uno dei più celebri e discussi processi della storia, quello a Galileo Galilei, la Chiesa aveva le sue ragioni dal punto di vista scientifico, mentre lo scienziato pisano ne aveva altrettante dal punto di vista teologico e dell’esegesi biblica. In altre parole, Galilei presentò come prova inoppugnabile della teoria copernicana le maree, sbagliando di grosso, e non arrivando mai a provare ciò che sosteneva a riguardo dell’ipotesi copernicana; però, a differenza dei teologi del sant’Ufficio, seppe “molto giustamente distinguere tra l’inerranza della Sacra Scrittura e la capacità di errare dei suoi interpreti” (Walter Brandmüller, Eventi eloquenti. L’agire della Chiesa nella storia, Editrice Vaticana, 2014).
Questa tesi, per la quale Galilei fu, in quella circostanza, buon teologo, mentre i teologi cattolici furono più accorti di lui in campo scientifico, può risultare a prima vista paradossale, ma è ormai affermata nel campo degli studi galileiani. E questo anche grazie ad un ecclesiastico cattolico tedesco: il cardinal Walter Brandmüller, noto tra gli storici soprattutto per essere stato, dal 1998 al 2009, il presidente del Pontificio comitato di scienze storiche e per i suoi studi su Lutero, e, appunto, su Galilei.
Se si chiedesse ad un pubblico mediamente istruito chi fu davvero quest’ultimo, ci si sentirebbe rispondere che fu un avversario della Chiesa, condannato ad indicibili sofferenze per aver dimostrato le teorie di Niccolò Copernico sul sistema eliocentrico e il moto della Terra, mettendo così in contrasto scienza e fede.
Ma in questa visione, diffusa ad arte dalla propaganda anticlericale per secoli, ad opera di svariati personaggi tra cui anche il nostro Benito Mussolini versione giovanile e il letterato comunista tedesco Bertold Brecht, non vi è nulla di vero.
Anzitutto perché la storia dell’astronomia non inizia e non finisce con Galilei: prima di lui, a proporre il moto della Terra vi furono Nicola Oresme, vescovo di Lisieux, Nicolò Cusano, cardinale, e Niccolò Copernico, ecclesiastico cattolico. In secondo luogo perché, come si è già accennato, Galilei non dimostrò mai né il moto di rotazione né quello di rivoluzione del nostro pianeta: lo avrebbero fatto il sacerdote italiano Giovanni Battista Guglielmini nel 1790, il pastore anglicano James Bradley nel 1725, e il fisico francese Bernard Lèon Foucault nel 1851. Cioè molti anni più tardi.
In terzo luogo perché il contenzioso tra Chiesa e Galilei fu a tutti gli effetti uno scontro non tra la fede e la scienza, ma sull’interpretazione della Bibbia, che avvenne totalmente all’interno del mondo cattolico.
Oggi nessuno storico serio, infatti, nega la sincera fede cattolica di Galileo Galilei, espressa più volte nelle sue lettere, chiarissima dalle sue frequentazioni (una su tutte quella con l’intimo amico padre Benedetto Castelli, fondatore di due scienze galileiane, meteoreologia ed idraulica) e dal suo epistolario con la diletta figlia, suor Maria Celeste, ben raccontato dalla nota divulgatrice scientifica Dava Sobel nel suo La figlia di Galileo. Una storia di fede, scienza e amore (Rizzoli, 1999).
Il biologo ateo Richard Dawkins, nel suo manuale per atei L’Illusione di Dio (Mondadori, 2007), mette onestamente Galilei tra gli scienziati credenti in Dio, mentre il fisico Stephen Hawking nel suo best seller Dal Big Bang ai buchi neri (Rizzoli, 2011), ricorda la sincera fede cattolica del pisano, concludendo così: “Galilei rimase un fedele cattolico”, anche dopo il processo del 1632.
Del resto il più celebre storico della scienza italiano, Paolo Rossi, ricorda che “l’immagine del tutto astorica, cara a molta storiografia dell’Ottocento, di un Galilei libero pensatore e positivista ante litteram appare oggi tramontata” (Paolo Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, 2000).
Se andiamo indietro nel tempo, in terra tedesca, è Carl Friedrich Freiherr von Weizsäcker, uno dei grandi fisici del Novecento, amico e collaboratore del premio Nobel Werner Heinsenberg, a dimostrare nel suo I grandi della fisica (Donzelli, 2002) non solo che Galilei fu sempre, quanto a dottrina, un “bravo cattolico” (che però, riguardo al moto terrestre “non era in grado di dimostrare quello che affermava”), ma anche che egli fu, come altri devoti scienziati quali Keplero e Newton, un frutto dell’albero cristiano, cioè della visione biblica del mondo (alla quale si deve il merito di aver de-divinizzato il mondo, trasformando la natura da regno di capricciose divinità, da magnum animal, come volevano i pagani, ad opera del Creatore e Legislatore dell’Universo).
Perchè allora la Chiesa, che aveva accolto il suo figlio Copernico favorevolmente, decise poi di contrastare, settant’anni più tardi, il copernicanesimo di Galilei, contrapponendogli l’interpretazione di passi scritturali?
Qui gli studi di Brandmüller su Galilei si intrecciano a quelli su Lutero. Il quale fu invece prontissimo a condannare senza appello, già nel 1539, il cattolico Copernico, con queste parole: “La gente dà retta a un astronomo venuto fuori chissà da dove, il quale si sforza di dimostrare che la terra gira, e non i cieli e il firmamento, il sole e la luna. Chiunque vuole apparire intelligente deve inventare qualche nuovo sistema, che sia naturalmente il migliore di tutti i sistemi. Questo pazzo desidera mettere sottosopra l’intera scienza dell’astronomia; ma le Sacre Scritture ci dicono che Giosuè comandò al sole di fermarsi, non alla terra” (Bertrand Russell, Storia della filosofia occidentale, Tea, 1991).
Quasi un secolo dopo le invettive di Lutero, cosa accade a Roma? Lo spiega Brandmüller nel testo citato: “Motivo di tutto ciò fu il fatto che in Roma l’affare Galileo venne visto in connessione con la situazione religioso-politica dell’Europa del nord e Mitteleuropea, dove il protestantesimo non solo era arrivato al potere da cento anni, ma si diffondeva vieppiù con l’aiuto di una politica compiacente… Proprio il protestantesimo aveva costantemente e con forza accentuato l’autorità della Bibbia come fonte unica della fede contro l’insegnamento cattolico delle due fonti della Rivelazione, Bibbia e Tradizione apostolica. Dal momento che da questa parte veniva di continuo mosso il rimprovero alla Chiesa cattolica di essersi allontanata dalla parola di Dio, non si poteva fare a meno, da parte cattolica, di tentare di smorzare questo rimprovero professando la più alta fedeltà possibile al tenore verbale della Bibbia”.
Il problema, dunque, non era tanto se la Terra stesse ferma o meno, essendo un fatto che non ha implicazioni per la fede, ma capire la giusta lettura delle Sacre Scritture, in un’epoca in cui il letteralismo protestante appariva incalzante e i protestanti si ergevano a unici e veri difensori della Bibbia.
Si arrivò così al paradosso: il mondo cattolico, che con Oresme, Cusano, Copernico e Galilei aveva per primo aperto le porte alla nuova astronomia, mentre Lutero aveva subito bocciato ogni novità, si trovò impelagato in una discussione fuorviante, resa più complicata da numerosi fattori, quali gli errori scientifici di Galilei, l’irascibilità di Urbano VIII che ne era stato estimatore e che si era sentito tradito per alcune frasi irriverenti del pisano…
La conclusione è quella di cui si diceva in principio: da una parte Galilei ricordò giustamente che la Bibbia insegna “come si vadia in cielo” e non “come vadia il cielo”, e, avendo ricevuto dalla Chiesa onori ma anche dispiaceri, le rimase però sempre fedele, nonostante la pur mite condanna; dall’altra i teologi del santo Ufficio caddero in errore quanto all’esegesi biblica, con l’appoggio del papa Urbano VIII, il quale però non impegnò mai la sua infallibilità in questo campo. “Le dichiarazioni magisteriali infallibili” -ricorda sempre il cardinale storico della Chiesa – “soggiacciono a dei criteri dei precisi” che in quella situazione, come in tante altre, non si verificarono.